Il Banco Armiero, con sede a Marcianise in via Domenico Santoro e con succursale a Napoli in via Milano, 109, fu fondato da Giosuè Armiero in società in nome collettivo con il fratello Arcangelo, nel 1922 e trovò riscontro favorevole in una numerosa clientela che ne assicurò la floridezza per tutti gli anni venti e oltre, nonostante la crisi economica provocata dal crollo della Borsa di Wall Street nel 1929 che ebbe contraccolpi anche in Europa e soprattutto in Italia. Le difficoltà del Banco vennero dalla guerra che gli mossero i “signorotti” locali che non sopportavano l’ascesa sociale di persone estranee al loro gruppo e che, facendosi scudo del partito fascista, al quale essi si erano affrettati ad aderire, misero in atto una serie di attacchi politici contro i fratelli Armiero, antifascisti.
Fra l’altro vennero anche organizzate più volte azioni squadristiche violente con lancio di pietre contro i balconi del Banco con conseguente rottura di vetri e scalfitture dell’intonaco in occasione delle sfilate rituali del 28 ottobre che si svolgevano per celebrare gli anniversari della marcia su Roma.
Su pressione dei “signori” fu aperta in Marcianise, proprio di fronte alla sede del Banco Armiero, un’agenzia del Banco di Napoli e i clienti del Banco Armiero, in prevalenza affittuari dei terreni agricoli di proprietà degli stessi “signori”, furono costretti a spostare i loro depositi presso il Banco di Napoli, sotto la minaccia di vedersi non rinnovato il loro contratto di coloni.
Giosuè Armiero, direttore del Banco, pensò allora di rafforzare le garanzie del Banco cooptando come soci personaggi di rilievo morale in città, tra i quali addirittura il sacerdote Domenico Scaldarella, primicerio del Capitolo del Duomo; e, per coprirsi politicamente, anche qualche fascista della prima ora, come Ernesto Genoni, autorevole centurione della milizia fascista e imparentato, attraverso la moglie, con l’allora fascista famiglia Foglia.
I nuovi soci non portarono al consolidamento finanziario del Banco, ma, con le loro proposte di allargare le attività del Banco nel settore commerciale, ne affrettarono il tracollo.
La prima mossa fu di impiantare nella zona della Ferrovia a Napoli uno spaccio alimentare di grande dimensione con consegna a domicilio con piccoli automezzi, nel caso di grande spesa da parte di clienti abitanti molto distante dall’emporio. Seconda iniziativa fu quella di importare dalla Germania grossi quantitativi di macchine per cucire “Kohler” e apparecchi radio di marca Telefunken.
Infine si pensò di commissionare coperte di seta di San Leucio da vendere a credito. I tempi, però, erano sbagliati, considerando la crisi economico‑finanziaria di quegli anni con la conseguente scarsità di moneta circolante. I nuovi soci, in pratica, apportarono solo danni con le loro proposte commerciali: del resto i proponenti provenivano proprio dal settore commerciale.
La conclusione fu la liquidazione forzata del Banco con un finale concordato giudiziario che segnò la restituzione dell’80% delle somme depositate. Il deficit era dì centomila lire. Il costo della curatela giudiziaria ammontò ad un milione di lire. I soci che rispondevano con le loro proprietà versarono il corrispettivo del loro valore. Solo Giosuè Armiero rifiutò il prestito offertogli dal farmacista Ruberto per salvare il suo palazzo, nauseato dalla lotta dei “galantuomini” e si ritirò a Napoli dove trovò facile lavoro presso un Istituto Finanziario con compiti direttivi. Cfr. Arcangelo Armiero, Cinquant’anni di vita Socialista a Marciansie (1906/1954), Saggio introduttivo, note e appendice di Salvatore delli Paoli, 2007, Appendice 2, pag.99-100. Diffusione a cura di Donato Musone, Risvegli Culturali, 27 settembre 2012.
Nella foto 1) Giosuè Armiero, Direttore – 2) Avv. Celestino Grimaldi, Cassiere – 3) Rag.Pasquale Martellone – 4) Rag.Vincenzo de Rosa – 5) Vincenzo Elia, impiegato.